Di ognuno di noi emerge ciò che siamo stati solo dopo la morte. Cosa ci ha commosso del mite conduttore nazional popolare Fabrizio Frizzi, e della sua grandezza dietro le quinte.

29 Mar 2018 | Fuori Festival

Tutti i giorni muore qualcuno e questo può lasciarci indifferenti.  Non è la portata del personaggio famoso, ad aver acceso cuori all’unisono. Nel caso di Fabrizio Frizzi, è stata una bellezza rara, a svegliare l’emozione: un sentimento inscritto nel DNA dell’uomo speciale. Speciale perché “normale”. Anche nel modo di affrontare la malattia
di Tiziana Pavone

La morte di Fabrizio Frizzi ha colto di sorpresa tutto il Paese. Suo padre è morto alla sua stessa età. In questi due giorni la Rai dei salotti griffati è tornata mamma Rai e ha celebrato il suo figlio più fedele: abbiamo visto la commozione ininterrotta di colleghi e spettatori intervistati per strada. Dopo che Frizzi, mancato il 25 marzo, è stato tumulato poche ore fa nella tomba di famiglia a Bassano Romano, e a piazza del Popolo si è dipanata la folla al di fuori della chiesa degli Artisti, tutti noi che abbiamo partecipato al lutto guardando la televisione, percepiamo l’essenza che non abita più il corpo. In televisione tocca a Marco Liorni condurre il pomeriggio dedicato al collega. Su Facebook aveva postato a caldo: “Oggi l’Italia piange Fabrizio credo soprattutto per questo…perché non ha mai tradito quello che tutti sentiamo giusto.”

 

L’ultima intervista concessa alla carta stampata.

In rete arrivano i primi video sulla verità della sua malattia: un tumore al cervello tenuto nascosto. Non lo piangono solo i volti noti della televisione che, toccati dal lutto, venerdì scorso su ogni rete avevano spento le telecamere senza andare in onda. Anche noi di Festivalnews abbiamo pianto la prematura scomparsa di Fabrizio Frizzi, l’uomo più buono della televisione. Lui, che sognava di cantare al Festival di Sanremo, da grande figlio d’arte e pianista, forte di un fratello direttore di orchestra che gli aveva trasmesso tutto l’amore per la musica. Lui che ci ha dimostrato quale è il modo più sano di lasciare un segno del nostro passaggio sulla Terra. Lui che non scavalcava nessuno per esserci, per apparire, ha saputo stare in sala d’attesa: era troppo sé stesso, senza sovrastrutture né maschere.

Non è stato rose e fiori, il fortunato rapporto di lavoro in una televisione che vive di personaggi e congela l’uomo comune. Qualcuno gli è passato davanti, ma Frizzi non ha mai fatto polemiche. Nè in pubblico né in privato.  Sul set, tanto ben farcito di riflettori e trucchi, l’umanità di questo conduttore ha trapassato lo schermo e ha seminato a sua insaputa. E a insaputa dei media. Noi, massa di telespettatori in cerca di compagnia, ci siamo ricongiunti e abbiamo vissuto uguale esperienza di lutto per la grande trama omessa dentro alla biografia. Noi pubblico protagonista, siamo riusciti a gratificarlo. Quando si è trovato al bivio, e doveva decidere come aspettare la morte, a ottobre dell’anno scorso.

Cosa ci è successo? Siamo diversi dalla società che ci chiede di apparire? Ci mancano valori non più trasmessi dalla televisione? Viviamo solo la bellezza fugace del corpo?

No. Ci mancano i portatori di valori che trapassino la televisione. Persone. Non personaggi! Uomini e donne, capaci di bucare lo schermo: non per strategie mediatiche, ma per tenderti la mano. C’è bisogno di rimettere a centro campo il valore dei rapporti umani. Abbiamo bisogno di tornare a parlarci, ascoltarci, salutarci, chiederci “Come stai?”. Dobbiamo dismettere i panni della competizione, quasi come fossimo fermi in doppia fila per l’eternità, ad aspettare che si liberi il nostro posto. Dobbiamo abbracciare coralmente la collaborazione. Perché il nostro posto non è quello riservato alle starlette. Ma nemmeno quello dell’avanspettacolo di periferia.

E allora scriviamo, sì! Ma per ricordare a noi di piangere di meno e prenderci del tempo per assomigliare un pò a Fabrizio: abbiamo scoperto l’identità sociale di un uomo grande, che ha conficcato la sua freccia nel mondo reale per incidere a tempo pieno amando gli altri. Fabrizio Frizzi ha rappresentato questo: il sacrificio personale mai riscattato. Un dare senza tornaconto.

Se si potesse assegnare l’Oscar dei non famosi a uno famoso, il premio lo vincerebbe lui. Un marziano tra la gente. Uno di noi, più avanti di noi. Noi, tra l’altro quelli che senza essere famosi, diciamo sempre “Non ho tempo, vado di fretta, adesso non posso”.  Lui il tempo delle attenzioni lo aveva sempre. In questo è stato vero grande protagonista al centro della vita degli altri. E’ solo per questo che possiamo essere amati: in proporzione a quanto ci mettiamo al servizio di cause e persone. Lo capiremo mai, presi dal mondo dell’effimero?

Cosa ci mancherà dell’amico Frizzi? Ci mancherà quell’assenza totale di narcisismo. La sua voglia di tirare fuori non il peggio, per affossare, ma il meglio, per gioire silenti dell’altrui trionfo. La totale assenza di cinismo, malvagità, malizia. L’umiltà che tutto muove. La solidarietà a fatti. Il pronto ascolto. L’umanità, l’antica galanteria, l’apertura dell’amicizia. La capacità di immedesimarsi nello stato d’animo degli altri per esaltarne lo spirito. L’incapacità di tradire gli altri, che siamo noi.

Solo i visionari possono sorvegliare come angeli custodi con tanta dedizione. Consapevoli che la vita è sacra e non ne basta una per salvare il mondo. Tantomeno se il mondo spreca talenti. E’ da questo moto, che parte quel fastidio provato per una società privata di valori.  Serve che tutto torni. Tante volte, a voler pensare in grande, non si trova il bandolo della matassa. Guardando all’immagine di Frizzi, si capisce che il cerchio si chiude donandosi agli altri: con chi c’è e con quel che si ha. Lui dunque, fonte di ispirazione, sarà ricordato per lo spirito con cui ha condotto la sua esistenza.

Il premier Gentiloni su Frizzi dice: «Un esempio per il Paese».

A chi oggi c’era, molto probabilmente darà una spinta a donarsi; l’amore universale può sfociare, nel più semplice dei casi, nell’aiuto umanitario in termini di volontariato o di raccolta fondi per la ricerca. Fabrizio Frizzi era un volontario dell’Unitalsi e accompagnava i malati a Lourdes, lontano dalle telecamere. In chiesa era presente anche la ragazza che ha ricevuto da lui il midollo osseo. L’amore torna indietro, anche se può capitare che sia mal distribuito.

Frizzi vicino a tanti dolori, quando è stato il suo turno, ha cavalcato la malattia che sapeva di avere, con l’abitudine alla quotidianità. Adesso, calandosi nelle ultime ore di vita, passate non dentro a una SPA a togliersi qualche capriccio, ma a registrare persino due puntate al giorno in Rai, capiamo quanto grande sia stata la sua forza, nell’aver messo in secondo piano il proprio stato fisico e psichico. Sforzandosi di lasciare ai suoi cari impronte di normalità su cui edificare nuovi passi di vita

Ci auguriamo che la moglie, Carlotta Mantovan, senta l’affetto dell’Italia. E di lui. Che non vuole saperla triste. Ma pronta a conficcare un’altra freccia ben ancorata al centro della gravità terrestre. Mentre la vita si fa Stella.

La poesia “Amicizia” di Jorge Luis Borges, letta dall’amico e collega Flavio Insinna.

Non posso evitare la tua sofferenza, quando qualche pena ti tocca il cuore, però posso piangere con te e raccogliere i pezzi per rimetterlo a nuovo.  Non posso dirti né cosa sei né cosa devi essere, solamente posso volerti come sei ed essere tuo amico. In questo giorno pensavo a qualcuno che mi fosse amico, in quel momento sei apparso tu… Non sei né sopra né sotto né in mezzo, non sei né in testa né alla fine della lista. Non sei né il numero uno né il numero finale e tanto meno ho la pretesa di essere io il primo, il secondo o il terzo della tua lista. Basta che tu mi voglia come amico. Poi ho capito che siamo veramente amici. Ho fatto quello che farebbe qualsiasi amico: ho pregato e ho ringraziato Dio per te. Grazie per essermi amico

 

 

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