DECRETO RISTORI, I 600 MILIONI IN ARRIVO FARANNO CANTARE PIU’ DEL FESTIVAL.

4 Mar 2021 | Fuori Festival

SANREMO. Non appena si riapre la città, rinascono assembramenti per gli aperitivi lungomare. Allora corri a chiudere la città, tieni aperte le scuole. Non appena si riaprono le scuole, un nuovo Dpcm le richiude.

Siamo finiti nel gioco dello stallo e la sensazione è quella di non uscirne mai più. Con il sospetto che dalla regia mondiale ci sia qualcuno demotivato, a debellare la pandemia definitivamente chiudendo tutto per un bel po’. Immersi nell’adattamento alla sopravvivenza, che ci fa uscire, ci infetta e ci isola in casa a scadenza ciclica, non capiamo che il Festival non salverà il lavoro in città.

Mettiamoci l’anima in pace.

Aspettando che dall’estero ci arrivi il siero della salvezza che ci faccia ripartire, sopportiamo la nascita di nuovi vaccini. Più sicuri? Meno efficaci? Più economici? Per tutti? Per pochi? Non in vendita? Deviati verso altri lidi? Rubati dai servizi segreti? E non manca, siamo in Italia, la spregiudicatezza di chi vuol fare affari con la pandemia.

È di ieri la notizia, l’ultima della serie, di 22 milioni sequestrati nel Lazio per il traffico di mascherine. Verrebbe da dire: non mettiamocele più! Anche se le indossiamo, a quanto pare non sparisce la pandemia, ma almeno non lucrano. Naturalmente scherziamo amaramente.

Siamo a Sanremo, e siamo in rosso, arancione, giallo, a scaglioni e a ore. Senza mascherina saremmo multati. Senza fare il vaccino non ci fanno più uscire da casa. Aspettare la copertura del vaccino ci porta fino a settembre nello stallo? C’è chi dice sì, chi dice no e chi, intanto, i vaccini non se li vuole fare. Siamo a cavallo di due Governi ed è tutto vergognoso, ciò che accade nel circo mediatico in fatto di notizie contraddittorie e fuorvianti. Prima, col Governo Conte, l’indice era puntato sul decreto ristori. Infatti, adesso stanno per arrivare i soldi veri.

Ora non si parla che di pandemia.

Per fortuna, noi abbiamo il Festival. La musica ci salverà, è uno slogan a cui vogliamo credere.

Ma che fortuna è, per la città, se il Festival è solo televisivo? Non distrae più nemmeno gli italiani, un Festival patinato, che batte il tempo sulla promozione del “diverso” e non si preoccupa di quanto siamo tutti depredati. Avrebbe avuto un senso, il Festival se fosse entrata in scena l’empatia. O se tutti i cantanti fossero usciti in mutande, come si ritroveranno a Festival finito, visto che non si possono fare concerti. Se fossero usciti senza costosi costumi, senza sfoderare quella felicità così distante dagli umori del Paese reale. Avrebbero avuto occasione di manifestare una solidarietà attesa, a un intero settore al quale invece gli artisti di Sanremo sembrano ignorare di appartenere: “Io basta che sto al Festival”.

Il Festival è stato messo sotto i raggi x, da ristoratori e dalla categoria degli artisti caduti in povertà. Certe voci però non hanno microfono e nemmeno megafono. Non così, per le proteste messe in scena da pochi ristoratori del nord est, che alzavano la voce in tivvù per chiedere Soldi, soldi, soldi. Mahmood avrebbe dovuto vincere quest’anno. Ma anche Elisa, prima di lui, con visioni di Luci a Nord Est.

E a Sanremo, che sta a nord ovest i ristoratori che dicono? L’altro ieri è arrivato l’ennesimo Dpcm per annunciare una nuova chiusura, a pochi giorni dall’annuncio della chiusura delle scuole. Da oggi bar e ristoranti restano chiusi e potranno fare solo asporto. Non hanno nemmeno la lacrima di Achille Lauro, che piange in rosso, ma per difendere la differenza di genere.

La decisione di chiudere è stata presa a insaputa del Sindaco (della politica ci resta il ricordo).

È strana la città: ancora resiste una parte di Sanremo che tocca la vacca grassa e la benedice appagato. Ma è solo quella che grazie al Festival e agli amici di amici, lavora a corte (si contano quasi nel palmo di una mano, con nomi e cognomi ben in vista, costretti questa volta a tenere un basso profilo).

Dall’altra parte, c’è il sanremese impoverito e disperato, perché aspettava con ansia il Festival, per risollevare le casse vuote.

Chi in questi giorni è venuto da fuori, si è da subito accorto di sostanziali cambiamenti.

Città deserta, disciplinata, intelligente, povera. Qualche negozio non c’è più. Negozi ben posizionati in via Matteotti che si permettevano di pagare affitti da 5 mila euro al mese.

Sanremo non è immune, nonostante la fama. Anzi, a Sanremo ci sono le varianti di cui è impestata la zona più rossa della Francia: quella che confina con noi.

La pandemia ci porta anche questo: la certezza che le varianti potrebbero prendere piede e rendere il vaccino inutile. In questi giorni, dicevamo, arriva conferma che il decreto ristori del governo Conte è realtà. Speriamo che le casse delle riscossioni, nel frattempo non siano spostate altrove.

Se dobbiamo abituarci ad essere tutti più uguali e tutti più poveri, l’aiuto ai ristori dovrebbe essere distribuito anche ai lavoratori fantasma, quelli autonomi. E a tutte le donne con un figlio a carico, diventate povere assolute. Non solo: anche ai lavoratori di quelle imprese che dovranno sparire dai radar del mercato globale.

Non sappiamo se tra queste ci sarà la Sanità, la Scuola. Ma sappiamo che sono il nervo scoperto su cui qualcuno metterà le mani. Poi, c’è il riadattamento nel mondo del lavoro. Alcuni mestieri scompaiono. Altri, tecnologici, arrivano. E arrivano con le loro università (private?).

Sanremo è in ritardo, come tutto il Paese. L’Europa che ci dà soldi privati, chiede adeguamenti a pubblico e privati: ci vorrà una formazione davvero pesante. Un cambio di mentalità come non si era mai visto. E qui, si aprono riflessioni profonde, merce rara per intellettuali di oggi.

Sanremo a livello di imprenditoria vanta qualche eccellenza, poco valorizzata. La meritocrazia non premia. E ancor meno le competenze. E così ognuno si arrangia come può, con gli amici.

Progetti lungimiranti per il benessere della città sono sempre mancati in ogni amministrazione che si è succeduta, e che ha agito con la mentalità di chi deve stare attento a non inimicarsi chi detiene pacchetti di voti. Ciò vuol dire, che il voto del cittadino è già stato monetizzato, a sua insaputa. Nessuno ha più chiesto voti, quando prima si andava porta a porta, almeno con una letterina.

Ormai la politica locale dosa i voti col bilancino, lontano dalle piazze; non chiede più pareri sul da farsi, ai propri cittadini. Basta un video sponsorizzato, qualche comparsata in tv, lontani dal territorio e dal rischio dei fischi, ed è pronta la giustificazione per andare a comandare. Assente la politica preoccupata di non lasciare la stanza dei bottoni, stiamo scoprendo che si può vivere in lockdown, senza lavoro, senza politica e con i sussidi.

Il nuovo Governo, oltre a mettere mano ai codici ATECO facendoli sparire e inglobando così tante imprese nel sussidio, ascolta tutti gli esercenti orfani del vecchio mondo: da quelli un po’ disonesti (che non hanno dichiarato tutto il fatturato e oggi si lamentano di non ricevere un risarcimento congruo in relazione a quel nero) e anche quelli più onesti, che hanno ammesso di aver ricevuto un aiuto importante. Non solo: piovono soldi anche sulle Start Up, per la somma di 2.000 euro.

Per i ristoratori, in totale arrivano 600 milioni di euro a fondo perduto, conferma la Confesercenti. E speriamo che nessuno di loro chiamerà in causa pensionati e dipendenti pubblici (che il nero non lo hanno mai potuto fare e mantengono tutti quelli che perdono il lavoro, si fanno carico dei debiti di tutti i magna magna, senza mai un aumento di 10 euro in busta paga). E mai più dovranno scagliarsi contro il reddito di cittadinanza, nato per aiutare i veri poveri. Ancor meno contro il Festival milionario, che non porta i soldi sperati a Sanremo ma si preoccupa di pagare gli stipendi di tutto l’anno ai dipendenti Rai.

Adesso che siamo felici per la pioggia di soldi che andranno ad alberghi e ristoranti, preghiamo che agli artisti nasca un San Remo protettore. Che, come ben noto, è un santo che non esiste.

Tutti gli altri, prenotino i vaccini a caro prezzo e restino a casa. Albertina “sta in cucina dietro la tendina perché a vivere sa come si fa”, cantava l’artista Fossati, lontano dal Festival del si salvi chi può.

Di Tiziana Pavone.

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