“CARO PAPÀ…TI SCRIVO UNA CANZONE”

19 Mar 2018 | Archivio

Le dediche dei figli ai padri nei brani celebri della musica italiana

Di Susanna Giusto

Il 19 marzo scattano gli auguri di rito a tutti i papà. Una ricorrenza per alcuni, un tuffo malinconico nei ricordi, per altri, ma pur sempre un’occasione per celebrare il profondo legame tra padri e figli che va ben oltre la festività del calendario.

A testimoniarlo sono le innumerevoli canzoni della discografia italiana dedicate alla figura paterna. Da Baglioni a Concato, da Guccini ad Elisa, sono molti gli artisti che hanno voluto omaggiare il padre attraverso la musica, dando forma a ritratti sfaccettati, dialoghi immaginari, o fotogrammi di vita immortalati nei versi di canzoni indimenticabili. Dietro ad ognuna di queste si cela una storia e spesso la parte più autentica e intima di un artista. 

Autentica come l’emozione vissuta da un giovane Vasco Rossi quando compose Anima Fragile, struggente ballata piano e voce inclusa nel suo terzo album in studio Colpa d’Alfredo del 1980 e dedicata al padre Giovanni Carlo Rossi, camionista, stroncato da un infarto l’anno prima che il cantante desse alle stampe il celebre disco. Diversa in stile, ma altrettanto intensa è Van Loon di Francesco Guccini, contenuta nell’album Signora Bovary del 1987 e scritta per il padre Ferruccio, impiegato delle poste che, come tanti della sua generazione, aveva dovuto rinunciare agli studi e coltivava le proprie passioni come poteva, leggendo opere di un certo Van Loon, una sorta di Piero Angela dei suoi tempi spiegherà più tardi Guccini.

È un ricordo toccante quello del cantautore bolognese che un tempo criticava il padre e ora lo guarda con gli occhi della maturità: «Van Loon viveva e io lo credevo morto/ o, peggio, inutile, solo per la distanza /fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d’allora..». L’immagine paterna è invece legata alla musica nella raffinata dedica di Fabio Concato al papà Gigi, descritto nell’omonimo brano del 1990, contenuto nell’album “Giannutri”. “Stavi lì con me a giocare con la musica” ricorda Concato nei versi di “Gigi”, omaggio a un padre chitarrista che amava il jazz e ascoltava Bill Evans. E in questo caso, la mela non è caduta molto lontana dall’albero. Tra le dediche più note degli anni 2000 c’è senza dubbio “Padre-Madre”, contenuta nel primo album solista di Cesare Cremonini (Bagus, 2002). 

La canzone, che valse all’ex Luna pop un Premio Lunezia “Poesia del rock”, trae ispirazione dai racconti di guerra del padre Giovanni, classe 1924: “Padre/mille anni/e quante bombe sono esplose nei tuoi ricordi” canta Cremonini riportandoci agli anni lontani della gioventù paterna segnata dai bombardamenti e dalle immagini della seconda guerra mondiale ancora impresse nella memoria dell’uomo. Non c’è la guerra, ma un susseguirsi di ricordi di rara poesia nella bellissima Patapàn di Caudio Baglioni, pubblicata nel 2003 in memoria del padre scomparso alcuni anni prima. La commovente dedica di Baglioni, accompagnato dal pianoforte, si muove tra le immagini di infanzia legate alla figura paterna, rassicurante e imponente: “l’ombra di mio padre è due volte la mia, lui camminava ed io correvo” è solo uno dei meravigliosi versi di Patapàn, che merita un doveroso ascolto da parte di ogni cultore di musica italiana.

In questo excursus tra le canzoni dedicate ai padri, non mancano le donne, anche se spesso lo sguardo al femminile mette in luce “croci e delizie” del legame genitore-figlia. Basti citare Elisa, che nel 2007 pubblicava il singolo Stay, incentrato sul difficile rapporto con il genitore e sul bisogno dell’amore paterno. Tema affrontato anche nell’ultima edizione del Festival di Sanremo dalla nuova proposta Alice Caioli, che nel brano Specchi rotti parla del mancato rapporto con il padre. I padri descritti nelle canzoni, di certo, non sono sempre esempi di perfezione e lo sapeva bene Roberto Vecchioni quando nel ’73 portava a Sanremo “L’uomo che si gioca il cielo a dadi”, dedicata al padre Aldo, descritto nelle sue debolezze, senza moralismi né retorica.

Ma la strofa finale, nella dissacrante ironia del professore, esprime più di mille parole l’amore profondo e incondizionato di un figlio verso il padre: «E quando verrà l’ora/ di partire, vecchio mio/- canta Vecchioni- scommetto che ti giochi/ il cielo a dadi anche con Dio/e accetterà lo giuro/perché in cielo, dove sta, /se non ti rassomiglia che ci fa?». Un augurio quindi a tutti papà, perché ognuno di loro, in fondo, è una canzone che non è ancora stata scritta.

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